di Isabella Madia
1. Incontro con Marinetti
2. Polemica sulla “fine” del futurismo nel 1918
3. La cinematografia futurista
4. Dziga Vertov e Ricciotto Canudo
5. Anton Giulio Bragaglia
6. Cinema e letteratura
7. Materiali di interesse storico
8. Primo Conti e “La pattuglia azzurra”
9. Ivo Pannaggi
10. Libri d’antiquariato
11. Una bibliotechina sul Futurismo
1. Incontro con Marinetti
Madia: Mario Verdone ci tiene a riferire, proprio per mettere un paletto storico, come i suoi primi studi sul Futurismo risalgano ad un'epoca in cui il Futurismo non era ancora generalmente apprezzato in Italia. Si tenga presente che verso la fine degli anni Quaranta, cioè fino al 1950, la vedova di Filippo Tommaso Marinetti era talvolta costretta a mantenere se stessa e le figlie vendendo per poco prezzo, ad uno ad uno, alcuni dei quadri futuristi che suo marito possedeva, e gli italiani non li compravano. Riusciva a venderli all'estero; e questo è il motivo per cui non poche opere della collezione di F.T. Marinetti non sono più in Italia, ma in America o in altri Paesi.
Il primo scritto di Mario Verdone sui futuristi è la spesso ricordata Bicchierata futurista: il fatto è dell'agosto 1935 e la sua memoria venne pubblicata nel 1936, nella cronaca di Siena, dal quotidiano fiorentino “La Nazione”, poi versata nel volume Diario parafuturista, e quindi, ad insaputa dell’autore, ripresa nel 1994; ma questo è un episodio a sé. Adesso ti prego di raccontare quando, come e in che occasione hai cominciato ad occuparti dei futuristi sul piano scientifico. Ciò è avvenuto nei primi anni Cinquanta o verso la fine degli anni Quaranta, cioè in un'epoca in cui i futuristi in Italia non erano abbastanza rivalutati e stimati.
Verdone: La prima occasione indubbiamente fu data da quel “Concorso di poesia bacchica, amorosa e guerriera” cui hai accennato. Ero stato presentato da Mario Celli e Ezio Felici all’addetto stampa della Mostra Nazionale dei Vini Tipici. Nell’anno 1935 fui incaricato di seguire in particolare il “Concorso nazionale di poesia bacchica, amorosa e guerriera” voluto da Filippo Tommaso Marinetti, che aveva preso sotto la sua egida le iniziative culturali della Mostra: e fu qui che conobbi non solo Marinetti, ma anche molti altri futuristi; e scrissi una paginetta di diario che più tardi pubblicai.
Madia: Ma come venne in mente a Marinetti di prendere l’iniziativa di un concorso poetico alla Mostra Nazionale dei Vini Tipici?
Verdone: Marinetti cercava di inserire il Futurismo in tutte le manifestazioni. Futurismo non era soltanto arte, era vita. Se, ad esempio, all’Azienda Turismo di La Spezia interessava fare propaganda al Golfo di La Spezia lui proponeva: «Facciamo un concorso di poesia sul Golfo di La Spezia». Occasioni del genere non se le faceva scappare e, venuto a Siena (anche per ammirarne la stazione ferroviaria, creata dall’architetto Mazzoni, che veniva considerata un piccolo gioiello di architettura futurista) e preso contatto con la Mostra, gli venne l’idea di fare il “Concorso di poesia bacchica, amorosa e guerriera”. La proposta venne accettata con entusiasmo perché la Mostra aveva interesse ad arricchirsi di manifestazioni allo scopo di farsi propaganda in tutta Italia; e infatti il concorso ebbe un successo nazionale e fu ripetuto.
Madia: Ma allora tu non eri stato mandato dal giornale, eri l’addetto stampa della Mostra?
Verdone: Entrambe le cose. L’una non escludeva l’altra; ma data la mia età (non avevo ancora vent’anni) non potevo essere considerato l’addetto stampa. Io dicevo scherzosamente che ero il “vice-scambio del sotto-aiuto” del Capo Ufficio Stampa della Mostra, Pietro Poggi. Non mi consideravo io l’addetto stampa: ero in pratica il suo aiutante. Eravamo in due: lui era il Direttore e io il vice-addetto, aiutante, apprendista.
Madia: Un allievo che faceva egregiamente il suo lavoro se ancora oggi il tuo antico scritto sull’eccezionale evento viene ripreso su qualche giornale.
Verdone: L’articolo venne pubblicato sulla “Nazione”, perché in quel tempo ero emigrato, dal “Telegrafo”, al giornale concorrente. Il mio resoconto della serata bacchica, poi inserito in un mio libro del 1990 intitolato Diario parafuturista, nel 1993 è stato ancora ripreso e pubblicato da un giornale senese, “La Voce del Campo”. Ciò mi ha valso la vittoria di un concorso giornalistico, verificatasi quasi a mia insaputa: gli organizzatori erano in possesso del giornale con l’articolo “riciclato”, ma non sapevano se era del 1993 o se lo avevo scritto, come effettivamente avvenuto, tanti anni prima.
Madia: Si tratta del premio della Casa vinicola “Barbi Colombini” comprendente anche ventidue cartoni di vini pregiatissimi, fra cui il celeberrimo Brunello di Montalcino di annate particolarmente fortunate. Lo so bene, dato che lo abbiamo gustato assieme.
Verdone: Fu dunque nell'agosto 1935 che ebbi la sorte di incontrare Marinetti - per me diciottenne fu un grande evento - e vi conobbi anche altri suoi seguaci. Successivamente mantenni rapporti epistolari con qualcuno dei futuristi, per esempio con il poeta Ignazio Scurto che era il più giovane, poi sposatosi con la pittrice Barbara, e quindi era quello con cui potevo familiarizzare meglio. Verso la fine degli anni Trenta ero stato addirittura invitato a far parte di un gruppo futurista fiorentino dissidente, capeggiato, credo, da Antonio Marasco ma di cui ritengo fosse stato ispiratore anche Emilio Settimelli. Chi cercava di convincermi era il giornalista Rodolfo Della Felice, Redattore del settimanale “La Rivoluzione Fascista” di Siena. Io gli risposi che era ridicolo che facessi parte di un gruppo futurista dissidente, in quanto, non essendo io neppure futurista, come facevo ad essere dissidente? Pertanto rifiutai, pur mantenendo la mia simpatia per tutti coloro che più o meno continuavano a credere nel Futurismo; ed erano sempre meno, perché poi, addirittura, scoppiata la guerra e venuto il dopoguerra, di Futurismo quasi non se ne voleva parlar più. Era quasi una damnatio memoriae che colpiva grandi artisti italiani oggi considerati maestri.
2. Polemica sulla “fine” del Futurismo nel 1918
Madia: Marinetti morì nel 1944, la guerra cessò nel 1945 e negli anni dal 1946 in poi il Futurismo venne tenuto in ombra o totalmente dimenticato, sia per la scomparsa di Marinetti, sia perché veniva strettamente associato all'epoca fascista.
Verdone: E per di più alcuni critici importanti di allora, cioè degli anni 1946 e seguenti, quali G.C. Argan, o Palma Bucarelli, che era la Direttrice della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, negavano che il Futurismo avesse continuato ad esistere dopo il 1918; anzi, scrivevano, propagandavano, insistevano sul fatto che il Futurismo era finito in coincidenza con la fine della prima guerra mondiale, con la morte di Sant’Elia e di Boccioni, con l’allontanamento di Palazzeschi o di altri influenti futuristi dal gruppo iniziale. Secondo tali critici, dunque, nel 1918 il Futurismo era morto. Anzi, Argan ebbe a scrivere più tardi - ad esempio - che certe opere del futurista Balla erano “ben povera cosa...”.
Ma non solo: i due autorevoli esperti che ora ho ricordato organizzarono la sezione italiana di una mostra - da me personalmente visitata - in seno al Consiglio d'Europa a Strasburgo (sul tema L'arte fino al 1918) e nel catalogo veniva affermato che al Futurismo, ormai esaurito, era succeduta la Metafisica, cioè De Chirico, Savinio e via dicendo. Certamente De Chirico e Savinio erano personalità eccezionali, ma questo non significava che il Futurismo fosse morto. Tant’è vero che anche negli anni Venti manifestazioni di arte futurista ce ne sono state, e importantissime: nell'aeropittura, che si sviluppò proprio negli anni Venti e Trenta, nell’arte sacra futurista, nella scenografia, nella poesia visiva, nel teatro. Tutto questo dimostrava che essi erano pienamente in errore: il Futurismo esisteva ancora, sia pure attraverso una generazione più giovane, che continuava ad ispirarsi alle idee diffuse dal Manifesto di Marinetti e dei suoi amici dal 1909.
Gli aeropittori, i teatranti, i poeti visivi degli anni Venti e Trenta, sempre consideravano Marinetti come il loro capo carismatico e attorno a lui gravitavano. Naturalmente dopo la morte di Marinetti tutto un po' si affievolì. A ciò si aggiunse l’ostilità della critica di sinistra e l’identificazione del Futurismo col Fascismo.
Nel dopoguerra (cioè dal 1946-47 in poi) critici autorevoli erano di orientamento ideologico di sinistra e perciò tendevano - errando - o a ignorare il Futurismo o a identificarlo col deprecato regime fascista. Anche per reazione contro tutto ciò che apparteneva al ventennio 1920-1940 (cioè al periodo fra la prima e la seconda guerra mondiale) quanto si riferiva a quell’epoca veniva scartato o taciuto e, dunque, fra le tante cose respinte c’era il Futurismo.
Sotto il profilo scientifico e storico tale atteggiamento era completamente sbagliato, non c'era un taglio netto tra Futurismo e antifascismo. Il Futurismo attirava i giovani di qualunque orientamento fossero e quindi c’erano, sì, i fascisti, ovviamente, ma ce n’erano anche tanti che erano antifascisti come Ivo Pannaggi, Vinicio Paladini, e Pippo Oriani che sono stati miei amici. Ho conosciuto l’architetto Alberto Sartoris, Emilio Pettoruti, Mauricio Pogolotti, Ruggero Vasari e tanti altri che non erano affatto fascisti; anche il vincitore del concorso di poesia bacchica del 1935, che conobbi a Siena, Lorenzo Viani, si associava in quella occasione ai futuristi, ma in realtà era un anarchico, non era un fascista. E tutto questo dimostra che l’atteggiamento di certi critici era assolutamente errato. Il Fascismo non si addiceva certo a numerosi pittori futuristi di Torino, Napoli, Pavia, Macerata.
Ho sostenuto nei miei primi studi sul Futurismo, dissentendo dai pareri di illustri colleghi, che la sua vera datazione (e ne ebbi anche il consenso di Enrico Falqui) era: 1909-1944, cioè dalla fondazione e fino all’anno della scomparsa di Marinetti. Mi riferisco ai miei libri Che cos’è il Futurismo, Il movimento futurista, Il Futurismo, e specialmente ai capitoli che in essi sono intitolati Per una storicizzazione: 1909-1944, data che ora è pubblicamente accettata anche nel volume Futurismo 1909-1944, catalogo della mostra allestita nel 2001 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, a cura di Enrico Crispolti.
3. La cinematografia futurista
Madia: Vorrei che tu mi parlassi specificamente della cinematografia futurista che, come mi hai più volte raccontato, anche indipendentemente da questo lavoro, è stata un ponte di transito dalla tua passione (e dai tuoi studi) sul cinema verso le tue ricerche su tutto il Movimento Futurista. Dopo il tuo emozionante incontro con Marinetti (1935) tu, che eri da sempre appassionato di cinema, hai voluto conoscere specificamente il cinema futurista e da ciò è nato il tuo interesse per tutto il movimento creato da Marinetti.
Verdone: Si, questo è stato il filo conduttore del mio percorso. Come abbiamo già ricordato, io avevo conosciuto personalmente Marinetti e numerosi futuristi, in occasione del “Concorso di poesia bacchica, amorosa e guerriera” svoltosi a Siena nel 1935 e ne avevo anche pubblicato la cronaca.
Naturalmente io, giovanissimo all’epoca, ero stato profondamente colpito dal vento di innovazione portato da Marinetti e dai suoi sodali.
Ci furono poi diverse concomitanze fortunate. Negli anni immediatamente seguenti e verso la fine degli anni Trenta, quando ero uno studente universitario appassionato di cinema, avevo “incontrato”, nelle annate 1907-1908 della pregevole rivista senese “Vita d’arte”, le corrispondenze da Parigi di un personaggio che mi attrasse immediatamente, Ricciotto Canudo, e incuriosito avevo cercato di capirne meglio il pensiero sulla nuova arte. Scriveva Canudo: «Un nuovo sogno del meraviglioso imposto dalla scienza ispirerà i nuovi maestri d’arte di domani». Primo teorico della “settima arte”, Canudo è oggi riconosciuto come precursore della scuola cinematografica d’avanguardia francese.
Entrato nel 1941 al Centro Sperimentale di Cinematografia e nella Redazione di “Bianco e Nero” vi consultai una antologia di scritti sul cinema che comprendeva anche il testo del Manifesto sul cinema futurista di Marinetti e quando, all’incirca nella stessa epoca, uscì il film Fantasia di Walt Disney, io vi riconobbi immediatamente le idee enunciate decenni prima dal Manifesto.
A ciò si aggiunga che sempre, nei miei primi anni al Centro (1941-1948), io vi ho frequentato alcuni personaggi - che, al pari di me, vi lavoravano - futuristi o vicini alle avanguardie: Virgilio Marchi, Antonio Valente, Guido Fiorini, Umberto Barbaro.
Nel 1948 ho ripetutamente scritto su Canudo e la cinematografia di avanguardia ma desidero ricordare specificamente un precedente articoloForme pure del fonofilm (in “La critica cinematografica”, di Parma - di cui ero il corrispondente da Roma - n. 7, settembre 1947).
Nel 1948 mi sono anche interessato al cinema d’avanguardia sovietico: Ejzenstein, Dziga Vertov, Kuleshov, Kozincev e la sua Fabbrica dell’Attore Eccentrico, sui quali ho scritto una Breve storia dell’estetica cinematografica in Russia (in “Libera arte”, n. 15-16, 1948).
Nel dopoguerra, nel 1946, essendomi dedicato allo studio del cinema d'avanguardia di tutti i Paesi, potei dunque constatare come la prima teoria, la prima vera spinta al cinema non commerciale, e di sperimentazione, era stata data proprio da Marinetti e dai suoi amici col Manifesto del 1916, il Manifesto della Cinematografia Futurista. Questo Manifesto avrebbe dovuto produrre degli effetti in Italia, ma ne produsse ben pochi, per il semplice motivo che nessun produttore si sentiva di impegnare i propri denari nei film pensati dai futuristi. Per di più il nostro cinema, chiamiamolo così, “commerciale”, nel primo dopoguerra (1919) era entrato, per vari fattori, in piena crisi. Come potevano i produttori pensare prioritariamente al cinema d’avanguardia? Ci volevano degli sponsors (diremmo oggi), dei mecenati disposti a produrre film futuristi; quindi in Italia, salvo poche manifestazioni di questo genere, (la prima delle quali fu il film Vita futurista di Ginna, Corra, Marinetti, Balla, Chiti), di film futuristi quasi non ce ne furono. Però il merito dell’Italia nel campo del cinema d’avanguardia è di avere teorizzato in anticipo tutto quello che il cinema d’avanguardia avrebbe poi realizzato in Francia, in Germania, in Russia, in Svizzera e in altri Paesi.
Madia: E’ molto probabile che il Manifesto della Cinematografia Futurista del 1916 abbia direttamente influenzato esperimenti attuati fuori dall’Italia, dato che Marinetti, quando lanciava un manifesto, era sollecito a farlo tradurre in varie lingue, e a farlo pubblicare sui giornali di numerosissimi Paesi, anche assai lontani.
Verdone: Esatto. In Russia, ad esempio, conoscevano benissimo le idee di Marinetti e dei suoi manifesti, di qualunque argomento fossero. Quindi le idee futuriste correvano per il mondo. Io possiedo un libro dell’armeno Hrand Nazarian, Il futurismo, stampato nel 1910 a Tiflis (Georgia). Ricordo che il mio amico Grigori Kozincev, fondatore dell’Eccentrismo e della FEKS (Fabbrica dell’Attore Eccentrico) aveva chiamato la “caffeina” d’Europa papascia Marinetti (nonnino Marinetti).
Madia: Il suo manifesto (del 1922) Ekstzentrism è pubblicato nel tuo saggio I FEKS, la fabbrica dell’attore eccentrico su “Marcatre”, n. 19-22, Lerici, Milano, 1966, e nel libro La FEKS, Premer Plan, Lione, 1970 dove è incluso tra i documenti il capitolo: “À la source de l’Excentrisme: le Futurisme”.
Verdone: Nello studiare il cinema d’avanguardia, nel trovare il collegamento fra il Manifesto uscito in Italia e i risultati verificatisi negli altri Paesi, cioè fra la teoria enunciata nel Manifesto e le sue applicazioni, non potei fare a meno (nel mio già ricordato libro intitolato Gli intellettuali e il cinema, pubblicato nel gennaio 1952) di parlare di Marinetti e delle sue idee riguardanti il cinema d'avanguardia; anzi un capitolo di questo libro si intitola proprio Da Canudo a Walt Disney attraverso Marinetti. Che cosa significava? Significava che le idee di Marinetti erano finite anche in America, perfino nei film di Walt Disney e in particolare nel celeberrimo film Fantasia al quale ha lavorato un tedesco, Oskar Fischinger, che quando viveva in Europa aveva sicuramente avuto familiarità con le teorie futuriste, perché il Futurismo fu ben conosciuto in Germania. Poi, evidentemente, al tempo delle persecuzioni hitleriane, questo tedesco si era rifugiato negli Stati Uniti e il film Fantasia (che è stato fatto nel 1940) presenta parecchie connotazioni che sono futuriste, anche se certamente non si può dire che sia totalmente futurista. Tuttavia protagoniste del film - che è a episodi - sono spesso le cose, i colori, gli oggetti. Naturalmente c’è una differenza fra un episodio e un altro, fra una sequenza e l'altra, perché il film Fantasia è un film composito cui hanno contribuito autori diversi ma ci sono alcuni pezzi che sono assolutamente d’avanguardia, come quelli in cui addirittura diventano protagoniste le macchie di colore, le linee, i segmenti geometrici. Ci sono momenti del film Fantasia (e anche del successivo Make Mine Music, intitolato in Italia Musica Maestro!) in cui c'è evidentemente un’influenza futurista.
Ecco quindi perché mi sembrava logico, sul piano scientifico, dimostrare come le idee da Marinetti erano finite, sì, presso lo svedese Viking Eggeling (perché aveva creato una “sinfonia di linee” come aveva proposto Marinetti nel suo Manifesto), ma c'era anche il tedesco Hans Richter che aveva adoperato “parole e numeri in libertà”, come voleva Marinetti. Anche Walter Ruttmann, quando aveva diretto nel 1929 il film Sinfonia di una grande città, non aveva fatto che mettere in pratica un’altra idea di Marinetti: cioè che i personaggi di un film non fossero soltanto le persone umane, ma anche “le città, le schiere, le montagne, i paesaggi, gli aeroplani”. Tutto questo si riflette prima nei film di Ruttmann, dei russi (le compenetrazioni e simultaneità di Dziga Vertov), dello svedese Eggeling, dei francesi; e in seguito anche nei menzionati film di Walt Disney. Come si è detto, Oskar Fischinger fu chiamato da Disney alla realizzazione del film Fantasia ed ebbe una storia curiosa in quanto, dopo aver lavorato a questo film, fu da Walt Disney licenziato. Probabilmente Disney non approvava completamente queste esperienze di avanguardia. Anche se le aveva accettate in qualche episodio dei due film che ho citato, non intendeva proseguire sulla stessa via.
Madia: Nel 1952, dunque, il capitolo contenuto nel libro Gli intellettuali e il cinema, che nella sua prima edizione era pubblicato dalla Casa editrice di “Bianco e Nero” e CIDALC, è uno dei primi scritti in cui Mario si interessa del Futurismo sul piano scientifico. Successivamente lo stesso libro è stato ristampato, nel 1982, dall’editore Bulzoni di Roma. Nel 1967 invece uscirà Cinema e letteratura del futurismo, per le edizioni di “Bianco e Nero”, poi ristampato dal Comune di Rovereto, in occasione di una manifestazione dedicata al cinema d'avanguardia (1990). Il libro fu recensito da Alberto Viviani, uno dei più autorevoli storici del Futurismo, su “L’Osservatore romano” (22 ottobre 1969): «Un vastissimo e poderoso affresco di una attività creativa quasi ignorata o troppo presto dimenticata».
Altra concomitanza fortunata fu la tua amicizia con Anton Giulio Bragaglia.
4. Dziga Vertov e Ricciotto Canudo
Verdone: Quando - negli anni Cinquanta - mi incontravo - sovente a teatro, in occasione di “prime” - con Anton Giulio Bragaglia il discorso sul cinema d’avanguardia spesso ritornava e lui non mancava di darmi preziose indicazioni. Mi disse addirittura che se io volevo saperne di più sul cinema d’avanguardia dovevo andare a trovare Arnaldo Ginna, che abitava a Roma in Via Monti Parioli. Non avevo delle coordinate precise. Fui tuttavia fortunato perché il portiere di un palazzo dove mi ero recato, dopo avermi assicurato che Arnaldo Ginna non esisteva, aggiunse che in quella abitazione c’era soltanto il Conte Arnaldo Ginanni Corradini. «Proprio lui!», dissi, e fu così che lo rintracciai.
Madia: Non v’è dubbio che sei stato tu lo scopritore e valorizzatore dell’opera di Arnaldo Ginna negli anni Sessanta, ma mi sembra doveroso ricordare che oggi sua nuora Federica Ginanni Corradini sta curando affettuosamente e con molto impegno - ricorrendo spesso ai tuoi consigli - l’archivio di carte e opere pittoresche dell’artista.
Verdone: Nel 1963 pubblicai un libro, fatto tradurre dal russo, di Nicolaj Abramov, intitolato Dziga Vertov, dedicato a un regista d’avanguardia futurista, il cui vero nome era Denis Arkadevic Kaufman, ma il suo nome di battaglia era Dziga Vertov, che potrebbe significare “Ruota che corre”: nome tipicamente futurista.
Negli anni Cinquanta i miei interessi per il Futurismo ormai spaziavano da quello italiano anche a quello di Paesi stranieri, tanto è vero che poi, per il libro su Dziga Vertov, scrissi una lunga prefazione su questo argomento. Come ho già detto, sin dalla seconda metà degli anni Trenta avevo cercato di capire meglio le teorie di un italiano, un uomo dell’avanguardia, Ricciotto Canudo, che si era trasferito a Parigi ed era diventato amico di Apollinaire, il quale lo aveva soprannominato “le barisien” perché era un parigino “trapiantato”, provenente da Bari. Parecchi anni dopo, nel 1966, avrei fatto l’edizione italiana del libro di Ricciotto Canudo (che era morto nel 1923) intitolato L’usine aux images, cioè L’officina delle immagini.
Madia: L’avere fatto studi su Ricciotto Canudo, che era di religione valdese, ha procurato a Mario Verdone le simpatie di un professore universitario, anche lui di fede valdese.
Verdone: Si tratta del professor Enea Balmas, di letteratura francese, che fece parte della Commissione giudicatrice del concorso per Professore Aggregato di “Discipline dello spettacolo” bandito dall’Università di Parma. Gli studi su Canudo mi valsero la stima di tale membro della Commissione.